Sono trascorsi 100 anni, ma ripercorrere oggi la vicenda del Bauhaus, scuola d’architettura e design fondata da Walter Gropius a Weimar nel 1919, è un ‘esperienza quanto mai attuale ed istruttiva.
Nata nella Germania dell’immediato primo dopoguerra, momento storico terribile su cui volteggia implacabile lo spettro della nascente ideologia nazionalsocialista che ne decreterà di fatto la fine 14 anni dopo, si proponeva di razionalizzare attraverso la definizione di uno schema interpretativo riconoscibile il rapporto fra arte e tecnica.
Sviluppo diretto del dibattito che coinvolse le avanguardie razionaliste dell’anteguerra riguardo al rapporto fra cultura e tecnologia nell’ambito delle nuove esigenze produttive nate con la rivoluzione industriale, cercò un linguaggio nuovo per tradurre nella pratica il necessario connubio fra le ragioni dell’arte e quelle della produzione.
Sull’onda dell’apertura di numerose Scuole ed Accademie d’arte applicata e sostenuta dalla spinta innovativa del governo socialdemocratico del Granducato di Sassonia, il Bauhaus Statale di Gropius si riproponeva di formare nei laboratori di studio nuove professionalità, veri e propri maestri-artisti in grado di operare nelle esigenze della quotidianità mantenendo fede ai dettami del Manifesto.
Finanziata inizialmente dai contributi statali ed in seguito attraverso le rette degli studenti e dalla rendita dei brevetti depositati, la scuola accolse fra gli insegnanti i nomi più prestigiosi dell’architettura, del design e della pittura contemporanea, da Kandinsky a Bruno Adler, da Breuer a Klee, da Feininger fino a Mies van der Rohe che ne fu l’ultimo direttore, e produsse il suo massimo sforzo in occasione dell’Esposizione del 1923 con la proposta rivoluzionaria della Haus am Horn, la casa modello progettata utilizzando tutte le tecnologie più avanzate.
Nei successivi 10 anni l’avvento del nazismo, e la conseguente ostilità del potere nei confronti delle idee innovative, della partecipazione attiva degli studenti alla fase progettuale, della presenza di insegnanti stranieri o di origine ebraica, del ruolo significativo delle donne nei processi decisionali e delle idee bolsceviche che secondo la Gestapo venivano promosse nell’istituto, costrinsero di fatto la scuola ad emigrare da Weimar a Dessau e da lì a Berlino dove nel Luglio del 1935 verrà definitivamente chiusa.
Nell’ambito delle numerose manifestazioni in programma in Germania e nel mondo per celebrare il centenario è stata forse proprio quest’anima itinerante, questa logica di idee in movimento, a spingere il collettivo SAVVY Contemporary alla realizzazione della Wohnmaschine, miniatura su ruote della celebre scuola di Dessau che per i prossimi 10mesi viaggerà da Hong Kong a Kinshasa con l’obiettivo di creare una scuola del design mobile.
Finanziato dal Bauhaus Heute Fund il progetto si propone attraverso conferenze e workshop allestiti sul pullman, di rappresentare una sorta di cavallo di Troia della modernità e di sensibilizzare l’opinione pubblica sul ruolo del design in un momento storico in cui il razzismo sta riaffiorando in Europa.